Oggi abbiamo portato le nostre Letture in lingua, questa volta francese, in mezzo ai banchi delle classi I^, IV^ e V^ del liceo Galvani di Bologna. Davanti a noi una marea di ragazzini di età diverse tra loro, quasi nessuno aveva avuto a che fare "attivamente" col teatro prima di oggi, nessuno si aspettava una lezione che chiedesse loro di stare seduti sui banchi, giocando coi compagni e coi mostri sacri della letteratura francese. Baudelaire ad un certo punto ci ha portato a parlare di Sogni e Ideali, ma alla domanda "Qual è il tuo sogno?" nessuno ha saputo rispondere. Qualcuno ha detto "Il mio sogno è avere un sogno". In un'altra occasione, non ricordo se giocando con Molière o con Pennàc, si è parlato invece del piacere che si prova nel conoscere altre lingue, e parecchi di loro hanno affermato che la cosa più bella dell'imparare altre lingue è il penetrare altre culture, conoscerle dall'interno, per così dire. Mettersi nei panni degli altri. Che poi è una cosa che ha molta attinenza col fare teatro.
Sono solo alcune delle cose che mi hanno colpito di questa mattina. In un primo momento mi sono chiesta se ci troviamo davanti ad una generazione che non è in grado di sognare, e ho subito fatto il confronto con la marea di sogni che popolavano i pensieri dei miei primi vent'anni. La parte più anziana e acida di me ha quindi iniziato a polemizzare col mondo, così privo di bellezza da non riuscire ad attrarci neanche con la fantasia, così privo di mistero da disabituarci a curiosare, così semplice da rendere ogni cosa scontata, così complesso da farci perdere le forze.
Ma poi ho notato come questa nebbia nel cervello si diradasse facilmente di fronte alle questioni più concrete: imparo una lingua così comprendo una cultura. Su questo, come su altri punti, i ragazzi avevano le idee molto chiare. Una frase così lineare e così piena di bellezza. Imparo una lingua così comprendo una cultura. Una frase così controcorrente e rivoluzionaria, probabilmente inconsapevolmente.
In quel momento li ho invidiati. Ho invidiato quei ragazzi così giovani, così privi di sogni e così ancorati al mondo. Ho invidiato lo stupore di trovarsi di fronte alla poesia con la libertà del gioco. Ho invidiato l'insicurezza di leggere ad alta voce e la spavalderia nel restituire il significato nascosto di un verso.
Forse non è la generazione che è cambiata. Forse è cambiato solo il modo di sognare. Forse oggi si sogna in modo concreto, così concreto da non sapere di avere dei sogni.